La tecnologia, giorno dopo giorno, sta radicalmente cambiando (e ha già cambiato) la nostra vita. Ai suoi albori, quando era ancora tutto in essere, era difficile immaginarsi un’influenza simile, soprattutto se pensiamo che Internet arrivò in Italia solo alla fine degli anni ’80 e il web nei primi anni ’90, aprendosi di fatto anche ai non addetti ai lavori (tecnici, ingegneri e ricercatori).
Le sua capacità performanti lo hanno reso uno strumento fondamentale e necessario, che ha caratterizzato lo sviluppo di nuovi lavori e di nuove figure professionali, in continua evoluzione. Certo, perché lo sviluppo non si è arrestato e non sembra intenzionato a farlo. Ecco che il concetto, quindi, di formazione continua, risulta basilare. Reinventare e arricchire sono le parole chiave per chi è in cerca di un posto di lavoro al passo con i tempi.
Mai come oggi mettersi alla ricerca di un lavoro è stato più semplice, economico e a salvaguardia dell’ambiente. Raggiungere decine di aziende per lasciare il proprio curriculum è diventata un’azione a portata di un click. Basta essere in possesso di un apparecchio elettronico dotato di connessione internet, sia un computer, un tablet o uno smartphone, e “mettersi alla ricerca”. Potenzialmente si potrebbe inviare una quantità infinita di curricula, con un enorme guadagno di tempo e denaro.
Se da un lato, quindi, la ricerca del lavoro si è fatta agile e il mondo del lavoro ha lasciato ampio spazio a nuove figure professionali, lo stesso modo di lavorare e gestire il proprio lavoro sta cambiando velocemente.
Anche in Italia si è cominciato a parlare di smart working (anche se, di fatto, già esisteva) con il voto del Parlamento dello scorso maggio, che ha dato il via libera alla legge sul lavoro autonomo e ha regolamentato il cosiddetto “lavoro agile”.
Il Ddl ha introdotto una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, in cui la prestazione è contraddistinta dall’esecuzione della stessa in parte all’interno di locali aziendali ed in parte all’esterno, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro, giornaliero e settimanale (a discrezione quindi del lavoratore stesso, a differenza del vecchio telelavoro), e dall’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all’esterno, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità agile – si legge sempre nel disegno di legge – ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”. Il datore di lavoro inoltre deve garantire la salute e la sicurezza del lavoratore smart.
Questa flessibilità viene incontro di fatto alle esigenze delle nuove famiglie, dove entrambi i genitori sono lavoratori e quindi impegnati in attività che esulano da quelle prettamente familiari, principalmente legate alla gestione dei figli.
Lo smart working è diventato una realtà così importante che, ad oggi, più del 50% delle grandi aziende ha implementato questa nuova opportunità.
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, sono più di 250mila, nel solo lavoro subordinato, i lavoratori che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati, e rappresentano circa il 7% del totale di impiegati e dirigenti, segnando un +40% rispetto a tre anni fa.
Il “prototipo” del lavoratore smart è un uomo (nel 69% dei casi) con un’età media di 41 anni, che risiede al Nord (nel 52% dei casi, solo nel 38% nel Centro e nel 10% al Sud) e rileva benefici nello sviluppo professionale, nelle prestazioni lavorative e nel work-life balance rispetto ai lavoratori che operano secondo modalità tradizionali.
Un modo di lavorare simile “restituisce alle persone una certa autonomia e flessibilità, nella scelta di spazi, orari e strumenti, a fronte di una maggior responsabilizzazione della persona stessa nei confronti dei propri risultati”.